Oltre ai beni materiali, si può avere anche una vita familiare
felice, andare in chiesa ma, se non si sa chi si è, in profondità, se non si sa
il perché del proprio esistere, tutto diventa insufficiente, privo di senso.
Insensato. Dunque, al di là del soffrire, dell’amare,
ciò che conta è sapere chi si è. Il senso della nostra esistenza è qui:
conoscere se stessi.
(Valerio Albisetti psicologo, psicoterapeuta)
Conoscere noi stessi equivale ad amarci di piu’
Se
non conosciamo noi stessi non possiamo comprenderci, comprendere gli altri e
nemmeno cambiare. Quando conosciamo noi stessi la nostra visione si espande,
sbocciano i nostri talenti, accresce l’autostima,
prendiamo contatto con i nostri valori e tutto il nostro essere, si sviluppa
l’intuizione, cambia la percezione della vita e allora la direzione che
dobbiamo prendere nella nostra vita si fa più chiara, iniziamo a vedere la
strada che ci conduce sul nostro vero cammino e alla conoscenza della nostra
vocazione.
Definizioni e titoli definiscono noi stessi?
A
questo proposito mi viene in mente una frase di Oscar Wilde: “La maggior parte della gente è altra gente.
Le loro idee sono opinioni altrui, la loro vita un'imitazione, le loro passioni
una citazione”.
Definizioni e titoli non definiscono noi stessi, ma
“altra gente” di noi stessi.
Allora: Sappiamo chi siamo veramente?
Siamo veramente chi crediamo di essere? Dal malessere interiore e dall’ insoddisfazione
che ci circonda, forse no. Molte persone hanno perso il loro “centro”, hanno perso
il contatto con il proprio Spirito e attribuiscono all’esterno o agli eventi la
causa dei loro problemi e frustrazioni.
Contattare il proprio centro, il luogo dello spirito
Raggiungiamo
la comprensione di noi stessi nel silenzio, quando ci immergiamo in quel luogo
profondo che è il nostro mondo interiore, è lì che incontriamo noi stessi e
scopriamo chi siamo veramente, qual è la nostra vocazione e il nostro compito
sulla terra. Entrare in contatto noi stessi e la nostra vocazione ci completa,
ci rende più consapevoli delle emozioni, dei nostri pensieri e potenzialità,
rende manifesta la nostra liberta’ di espressione e ci conduce alla
realizzazione e alla felicita’.
La
preghiera meditativa ci guida a guardarci dentro
La preghiera
meditativa è una preghiera silenziosa durante la quale si fa silenzio dentro ed
intorno a sé, per permettere a Dio di parlare al nostro cuore, passando dalla
preghiera di richiesta: “ascoltami, Signore” a quella più interiore: “parla,
Signore, il tuo servo di ascolta”. Nella preghiera silenziosa ritroviamo una
calma sacra dove nulla può turbarci, viene udita dallo Spirito e lo Spirito ci
parla.
Attraverso la preghiera meditativa ci
svuotiamo per riempirci dell’amore di Dio, e Dio è capace di cambiamenti.
L’Orazione mentale
teresiana
S. Teresa d’Avila nella sua autobiografia al Capitolo 8 (Vita
8,5), ci insegna che la preghiera è uno
strumento di amicizia, forse il più alto, il più misterioso, il più sublime.
“La mia vita diventa preghiera e la mia
preghiera diventa vita quotidiana”
"Chi ha cominciato a fare orazione non la
lasci; e chi non l’ha cominciata, io lo scongiuro per amor di Dio a non
privarsi di tanto bene; se persevera io spero nella misericordia di quel Dio
che nessuno ha mai preso invano come amico; giacché l’orazione mentale non è
altro – per conto mio – che un trattare con amicizia, intrattenendosi molte
volte da soli con Chi sappiamo che ci ama”
S. Teresa d’Avila - Vita 8,5
Anche il dr. Edward Bach, padre della floriterapia, consigliava il
silenzio e l’ascolto interiore:
“Dobbiamo
solo isolarci per qualche minuto ogni giorno in un luogo che sia il più
tranquillo possibile, e qui, senza essere disturbati, stando seduti o sdraiati,
fare il vuoto nella nostra mente e pensare con calma al compito della nostra
vita. Ci accorgeremo ben presto di ricevere un grande aiuto in momenti simili,
come se ci venissero date delle indicazioni e delle conoscenze illuminanti per
il nostro cammino”.
Ritornare al proprio centro genera equilibrio
Quando sei nel presente senza pensare, per la prima
volta sei spirituale. Una nuova dimensione si schiude, e quella dimensione è la
consapevolezza. (Osho)
Conoscere
se stessi genera equilibrio tra il Se’
percepito e il Se’ ideale, produce uno stato di benessere e forma un
individuo con autostima stabile, qualora invece il se il Sé percepito non
riesce a raggiungere il livello del Sé ideale si genera bassa autostima,
frustrazione, rabbia repressa, giudizio, continua
ricerca che approda sempre in insoddisfazione.
Per
semplificare, in psicologia questo è il
concetto di Sé percepito e Sé ideale.
Il Sé percepito
equivale al concetto di sé, alla conoscenza delle nostre abilità,
caratteristiche e qualità che sono presenti o assenti, ai nostri punti di
forza; mentre il Sé ideale è
l’immagine della persona che ci piacerebbe essere.
C’è
da sottolineare che il concetto di sé si sviluppa durante l’infanzia
all’interno della famiglia ed è più duraturo, più radicato e comporta più
difficoltà nel modificarlo, mentre l’acquisizione
dell’autostima è strettamente correlata alla formazione del sé ma viene
percepita in chiave evolutiva.
La teoria dell’attaccamento di J. Bolwby offre un contributo
riguardo il concetto di sé, infatti
sostiene che:
“… durante
l’interazione con la madre il bambino sviluppa credenze stabili su di essa come
presente accessibile e raggiungibile in ogni istante, e su se stesso come degno
d’amore o meno. J. Bolwby (1973) ha perciò descritto il modello di sé che emerge dalla relazione
di attaccamento come caratterizzato dal senso di essere degno d’amore, componente tipica dell’autostima. Bolwby ha
spiegato una sostanziale differenza; quando abbiamo una madre buona, presente
ed affidabile, pronta rispondere alle esigenze del bambino, avremo di
conseguenza un bambino con un sé sviluppato positivamente, percependo se stesso
come una persona degna d’amore. Mentre invece con una madre inaffidabile, che
non riesce a soddisfare i bisogni del bambino, ci troveremo di fronte ad un
bambino con un immagine di sé instabile e/o negativa.
L’autostima deriva da un bilancio fra sé reale e sé ideale; i
risultati che i bambini ottengono e l’approvazione che ricevono dagli adulti
sono il trampolino di lancio per i processi emozionali associati all’autostima
(1983). avremo
un buon livello di autostima con genitori che accettano totalmente il figlio
facendolo sentire apprezzato e considerato, e che pongono limitazioni ben
definite al comportamento (regole chiare e ben definite), esigendone il
rispetto ma lasciando anche ampi margini di libertà. Al contrario invece con un
livello di autostima insufficiente avremo genitori eccessivamente coercitivi o
permissivi, che si rapportano ai figli in modo brusco o distante; questo
comportamento provoca la sensazione di non essere apprezzati”.
Daniel J. Siegel nel libro “La Mente
relazionale” (1999), illustra le interazioni tra connessioni neurali e
interpersonali nella prima infanzia; descrive in che modo forme di attaccamento
non ottimali possano dare origine a problemi di memoria, di autoregolazione e
di regolazione delle emozioni; fornisce spiegazioni convincenti su come le
relazioni con gli altri alimentino i processi di integrazione e lo sviluppo
della mente nel corso della nostra intera esistenza.
Secondo Siegel il sistema di
attaccamento, come ad esempio un
attaccamento di tipo insicuro, può influire in vari processi allo sviluppo
della base della nostra mente, al contrario come mostrano le ricerche di Michael Rutter (1987;1997), relazioni
di attaccamento sicuro nei primi anni di vita sembrano favorire lo sviluppo di forme di regolazione
emotiva.
“Il senso della nostra
esistenza è qui: conoscere se stessi”.
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Buona Vita! Katia Botta
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Immagini
dal web -Teoria dell’attaccamento di Bolwby
igorvitale.org
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