La nostra scelta più importante è il modo in cui decidiamo di vivere la nostra vita. La felicità è amore, nient’altro.

Katia Botta

mercoledì 15 novembre 2017

A volte per arrivare al mare bisogna attraversare il deserto

La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.
(Osea 2, 16)
A volte per arrivare al mare bisogna attraversare il deserto. Il nostro deserto interiore, quel luogo dove incontriamo noi stessi con le nostre paure, i nostri difetti, le nostre ferite rimaste a lungo aperte, le nostre sconfitte, la nostra superbia, la nostra arroganza, il nostro pensare di sapere tutto. Il deserto è la via della purificazione, dove iniziamo a dialogare con quelle parti di noi stessi che non accettiamo e/o rifiutiamo, è il luogo della battaglia con il nostro ego che alla fine si arrende nell’accettazione e nell’amore. Solo dopo aver attraversato il nostro deserto interiore riusciremo ad arrivare al mare dove finalmente riusciremo ad accogliere ed esprimere l’amore che è dentro di noi  per poi donarlo. Attraversare il deserto per giungere al mare non prevede una distanza, è una fase, può essere anche solo un momento, basta ricordarsi che di fronte all’immensità del deserto e del mare siamo comunque piccoli ed è nell’umiltà di questa piccolezza che dobbiamo purificare il nostro ego.

S. Teresa di Lisieux diceva: “La creatura è tanto più se stessa quanto più comprende il proprio "nulla" ossia la propria povertà, la propria piccolezza e sente nel cuore gli infiniti desideri di Dio”.
La "piccolezza" secondo il Vangelo, infatti, è il criterio e la misura del vero progresso spirituale (cfr. Mt 18,4).

Nel deserto sconfiggiamo la solitudine di tutti i giorni, riempiendola della presenza del Signore, che dà la vera pace.


Buon viaggio a tutti!  Katia Botta

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Immagine dal web: deserto e mare Oman

venerdì 3 novembre 2017

La carezza come il contatto è sensibilità ma trascende il sensibile

“La carezza consiste nell’impadronirsi di niente. La carezza trascende il sensibile. Consiste nel non impadronirsi di niente, nel sollecitare ciò che sfugge e ciò che si sottrae come se non fosse ancora. In un certo senso esprime l’amore, ma soffre per un’incapacità di dirlo”.

La carezza, una dimensione dell’assenza 
"La carezza come il contatto è sensibilità. Ma la carezza trascende il sensibile. Questo non significa che essa senta al di là del sentito, più profondamente dei sensi, non significa che essa si impadronisca di un ciclo sublime, pur conservandolo, nella sua relazione con questo sentito ultimo, un’intenzione di fame che si dirige sul cibo che si promette e si dà a questa fame, la scava, come se la carezza si nutrisse della propria fame.
La carezza consiste nel non impadronirsi di niente, nel sollecitare ciò che sfugge continuamente dalla sua forma verso un avvenire mai abbastanza avvenire nel sollecitare ciò che si sottrae come se ‹non fosse ancora›. Essa ‹cerca›, fruga. Non è un’intenzionalità di svelamento, ma di ricerca: cammino nell’invisibile. In un certo senso ‹esprime› l’amore ma soffre per un’incapacità di dirlo. Ha fame di questa espressione stessa, in un continuo incremento di fame. Va dunque al di là del suo termine, è tesa al di là di un ente, anche futuro, che, appunto in quanto ‹ente›, bussa già alla porta dell’essere. Nella sua soddisfazione, il desiderio che l’anima rinasce, alimentato in qualche modo da ciò che ‹non è ancora›, e ci riporta alla verginità, eternamente inviolata, del femminile. Questo non significa che la carezza cerchi di dominare una libertà ostile, di farne il suo oggetto o di strapparle un consenso. La carezza cerca al di là del consenso o della resistenza di una libertà ‹ciò che non è ancora›, qualcosa che è «men che nulla» che sta come rinchiuso e sopito al di là dell’‹avvenire› e, quindi, sopito in modo completamente diverso dal ‹possibile› che si offrirebbe all’anticipazione. La profanazione che si insinua nella carezza risponde in modo adeguato all’originalità di questa dimensione dell’assenza. Assenza diversa dal vuoto di un niente astratto: assenza che si riferisce all’essere, ma vi si riferisce a modo suo, come se le «assenze» dell’avvenire non fossero avvenire, tutte allo stesso livello e uniformemente.”

Emmanuel Lévinas (1906 – 1995),Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità-Di Emmanuel Lévinas - Ed. Jaca Book, Milano 2006 

Immagine:La dolce carezza- acquerello by Mimmo De Pinto