L'equanimità è un sentimento di amorevole gentilezza non
giudicante, più lavoriamo
allo sviluppo dell'equanimità, e più la parola 'rilassamento' acquista un
significato più vasto.
"L'equanimità è l'opposto dell'attaccamento, è
non-attaccamento. [...] L'equanimità è l'anima della presenza mentale che
chiamiamo consapevolezza non giudicante [...].
L'equanimità è il cuore della saggezza, non si può vedere in profondità senza
l'intimo equilibrio dell'equanimità.
[...] Se è
assente l'equanimità, può un sentimento di amorevole gentilezza essere davvero
incondizionato e privo di riserve? È impossibile. Si tratterebbe di una
preferenza e non di quell'apertura radicale cui si allude parlando di
gentilezza amorevole incondizionata. Non possiamo nemmeno essere sinceramente
compassionevoli, se al cuore della nostra compassione non c'è una reale
presenza di equanimità. Saremmo identificati con la sofferenza, proveremmo
dispiacere, amarezza, cordoglio, commiserazione, ma tutto ciò non è
compassione. La compassione è una grande forza, perché è una combinazione di
tenerezza e di stabilità, la stabilità che proviene, appunto, dall'equanimità.
[...] Talvolta
viene usato il termine 'egoità', per sottolineare che il lavoro consiste
nell'imparare a osservare, sempre di più, e in modo sempre più accurato e
disteso, il sorgere dell'io-mio, che è pura pratica di vipassanā. E la pratica
di vipassanā è pratica di equanimità.
Se lavoriamo in
questo modo, rivolgiamo la nostra attenzione in particolare all'area della
reattività [...], il nemico antitetico dell'equanimità. Ma rivolgiamo
l'osservazione anche a ogni forma di indifferenza [...], ricordandoci che
l'indifferenza è un indurimento, un'avversione congelata [...].
Un'accresciuta
energia investe la nostra motivazione, il nostro impegno, allorché cominciamo ad
assaporare momenti di vera equanimità, allorché cominciamo a gustare la qualità
speciale di libertà che si accompagna all'equanimità. Si tratta di un primo
assaggio di quella libertà interiore che non dipende dalle condizioni esterne.
È un profondissimo sollievo quando cominciamo ad assaporarla [...].
Più lavoriamo
allo sviluppo dell'equanimità, e più la parola 'rilassamento' acquista un
significato più vasto. Comprendiamo cosa possa essere un totale rilassamento
[...] Forse siamo stati contratti, senza saperlo, per un'intera vita. E quando
cominciamo di nuovo a gustare qualche momento di vera distensione mentale,
[...] la forza di questa sensazione di sollievo ci fa letteralmente trasalire.
Ci accorgiamo,
allora, di quanta sofferenza crei la reattività" (pp. 115-117).
Vorrei
sottolineare, se ce ne fosse bisogno, questo intimo rapporto di vicendevole
implicazione tra l'equanimità, il rilassamento e la non reattività. In altre
parole - e mi sembra questo un elemento estremamente interessante: la pratica
di equanimità è qualcosa di non meramente mentale. Anzi, a dire la verità, il
lavoro dell'equanimità va contro la tendenza (la reattività) del mentale. È
pratica di svuotamento delle considerazioni, delle valutazioni, delle tecniche,
delle strategie, delle reazioni: è pratica di alleggerimento, di pulizia, di
acquietamento, di scioglimento delle tensioni. Il corpo ne risente: si calma,
si dà pace, si rilassa. Si percepisce nitidamente un forte senso di pulizia, di
centratura; è uno stato di presenza a ciò che è, è prendersene cura, sciolti da
qualsiasi condizione. Ciò che è condizionato, ciò che è motivato non è
equanimità.
Tratto da: “L'intelligenza spirituale” di
Corrado Pensa.
Grazie per aver dedicato il tuo tempo a questa lettura.
Buona Vita, Pace a voi! Katia Botta
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