“L’amore è un’esperienza dinamica, un cammino mai concluso”
Amare è rispondere ai bisogni
altrui
Il meccanismo
che regola l’intersecarsi tra la realtà dell’amore e quella dei bisogni di cui
noi tutti siamo espressione sin da quando muoviamo i primi passi nella nostra
vita, funziona così:
MANIFESTAZIONE DEL BISOGNO =
DOMANDA DI SODDISFACIMENTO DEL BISOGNO = RISPOSTA DI SODDISFACIMENTO DEL
BISOGNO = AMARE
Questo sembrerebbe condizionare in modo inesorabile il nostro
modo di comprendere ciò che amare significa. Infatti, avevamo preso come
esempio di questa “situazione di partenza”, che accomuna un po’ tutti, la
realtà del bambino nei confronti di sua madre. Per il bambino:
IO TI AMO = TU MI DAI QUELLO
CHE IO STO CERCANDO E RISPONDI A CIÒ DI CUI IO HO BISOGNO
Ma proviamo ora a considerare questo stesso rapporto da un altro
punto di vista: quello della madre. Per una mamma che cosa significa amare il
proprio figlio? Per lei guardare il suo bambino e andargli incontro significa
prima di tutto accorgersi che lui ha dei bisogni ai quali lei si sente completamente
sollecitata a rispondere. Poco o nulla le interessa che cosa il bambino possa
dare a lei. Questi può essere bello, buono e simpatico o tutto il contrario, ma
ciò che scatta nel cuore di una mamma è in primo luogo il fatto che lui ha
bisogno di lei. Quindi assumendo la prospettiva della mamma possiamo notare
come:
AMARE = SODDISFAZIONE DI
BISOGNI (questo fatto rimane sempre vero)
IO TI AMO = IO TI DO QUELLO
CHE TU STAI CERCANDO E RISPONDO A CIÒ DI CUI TU HAI BISOGNO (è invece a questo livello che cambia qualcosa)
Questa condizione non è più un naturale “punto di partenza” che
accomuna tutti quanti, bensì una situazione alla quale si giunge attraverso dei
“percorsi di vita” che comportano delle scelte e conducono alla presa d’atto
che i bisogni di cui noi siamo soggetti appartengono anche agli altri! L’esperienza dell’innamoramento prima e
quella successiva del consolidamento di una relazione matura di coppia, mettono
in gioco proprio la domanda seria del come io possa essere in grado di
rispondere ai bisogni di cui l’altro è portatore. Infatti, tipica dell’adulto
dovrebbe essere la tematizzazione dal fatto che l’etichetta del bisogno non si appiccica solamente a se stessi, ma
anche ad altri – non solamente in generale e a livello teorico, ma a dei “tu concreti” – che ci stanno davanti, ci interpellano e
che noi amiamo. Se è vero che ogni genitore è stato un tempo bambino, non è
affatto scontato che ogni bambino cresca e diventi veramente adulto. Si può
anche restare bambini per tutta la vita!
Questa non è una semplice constatazione biografica legata all’evolversi
delle età della vita, ma la presa d’atto di una duplice possibilità che chiama
in causa due diversi “stili” e modi di essere e di comprendere ciò che
significa “amare”. Infatti, si può vivere tutta la vita insediati in due
diversi orizzonti di riferimento all’interno dei quali il termine amore e la
realtà che esso designa assumono un significato diverso
Il grande
soggetto di questo orizzonte di riferimento è IO e ciò che chiamiamo amore ha fondamentalmente a che
vedere con il mio bene
|
Il grande
soggetto di questo orizzonte di riferimento è TU e ciò che chiamiamo amore ha fondamentalmente a che
vedere con il tuo bene
|
AMARE = CHIEDERE, PRENDERE,
“SUCCHIARE” AMARE = RISPONDERE, DARE,
“FARSI SUCCHIARE”
Come possiamo vedere, la parola utilizzata – amore – è la
stessa, ma le dinamiche significate sono diverse, addirittura ribaltate.
Il “dramma” sta proprio nel fatto che non ci sono due parole
diverse per designare le due dinamiche in gioco, ma la parola è una sola:
amare.
Stesso termine, diversi
significati
Ecco allora che due persone, ad esempio due fidanzati, dicendosi
l’un l’altro la stessa frase “io ti amo” possono intendere due cose completamente
diverse! Magari il sentimento può essere lo stesso, anche la dolcezza e
la tenerezza che si provano ci sono per entrambi, ma diverso rimane l’orizzonte
di fondo, lo “stile” messo in gioco. Ciò non toglie il fatto che tutti e due
possano essere contenti e stiano davvero bene in un particolare momento, perché
effettivamente, “in qualche modo”, tutti e due stanno “amando”, e questo fatto
non fa immediatamente emergere la distanza e la diversità che sono in gioco,
non ci si accorge di niente e tutto sembra funzionare benissimo. Per questa ragione di fondo l’amore non può
essere ridotto solamente ad un sentimento, ma deve essere individuato come
dinamica originaria che deve venire scelta tra le due possibilità in gioco.
Pur conoscendo e sperimentando in noi
entrambi i meccanismi che abbiamo cercato di mettere a fuoco, riconoscendoli
entrambi presenti in noi e coesistenti nella nostra esperienza di vita – perché
ogni mamma è stata prima bambina e se è diventata una brava mamma questo non
toglie che essa ha conosciuto e conosce entrambe le dimensioni e non solo una. Si
arriva però ad un punto in cui amare significa scegliere: scegliere
quale dei due orizzonti – pur conosciuti e vissuti entrambi come esperienze di
“bisogno” – vogliamo mettere in atto come “motore” originario delle nostre
azioni. Dicevamo che si tratta
certamente di due “motori” che coesistono (e non possono che farlo), e non di
un meccanismo cattivo contrapposto ad uno buono. Questo non significa però che
bisogna evitare di fare una scelta su quello che ciascuno di noi vuole che sia
il motore fondamentale della propria esistenza; anche se ci saranno sempre dei
momenti e delle situazioni che seguono l’altra direzione e sarà sempre
necessario operare delle sintesi e delle integrazioni. Prendiamo come esempio le
figure di alcuni santi che oggi
riconosciamo come significative e spendibile per il nostro mondo: madre Teresa
di Calcutta oppure Francesco d’Assisi. Se ci pensiamo un attimo, perché
possiamo dire che queste figure ci attraggono e riscuotono, credenti o non
credenti che siamo, la nostra ammirazione? Ancor prima del fatto che possano
essere persone che pregavano tre ore al giorno – in fondo a noi interessa
relativamente poco che essi pregassero o meno per metà della loro giornata –
noi siamo colpiti da queste persone perché con la loro vita ci hanno fatto
vedere proprio un “tipo di motore” fondamentale che ha alimentato tutta la loro
esistenza. Entrambi hanno fatto della
scelta che il bisogno di qualcun altro potesse essere più importante ed urgente
di quegli stessi bisogni che riconoscevano presenti in loro, la loro direzione
di vita, disponendo ogni altra realtà in funzione di questa scelta. Ed è per
questo stesso motivo che, di fronte a
loro, in noi emerge con forza l’esigenza di affermare che loro sono stati dei
“santi”, mentre ovviamente e giustamente noi con la santità abbiamo poco a che
fare, tracciando in questo modo una certa “distanza di sicurezza” tra noi e
loro, perché a noi spaventa una vita giocata sul versante del dare e del
rispondere al bisogno altrui come modalità autentica di amore.
Amare è il frutto di una
scelta
Dicendo che l’amore è prima di tutto una scelta personale,
rimarchiamo il fatto che si tratta non di un qualche cosa che si improvvisa, ma
del frutto di un discernimento, che
richiede tempo, “allenamento” e anche una certa “attrezzatura”. Amare
ha a che vedere con un modo di mettere in ordine le diverse dimensioni che
compongono la nostra vita, significa anche educare i propri affetti,
modificare i propri schemi, allargare i propri orizzonti.
Questa è una scelta di modo di procedere che non si concorda con
l’altro “a tavolino” (se tu fai così, allora io… finché tu, allora anch’io…),
ma una
decisione che ciascuno può prendere unicamente per se stesso:
IO TI AMO = IO SCELGO DI
METTERE TE E I TUOI BISOGNI PRIMA DI ME E DEI MIEI, PER TUTTA LA VITA E IN
TUTTE LE VARIE CONDIZIONI ESISTENZIALI IN CUI CI POTREMMO TROVARE
(e lo posso dire perché essendo una mia scelta non dipende più
dall’altro o dalle incognite della vita, ma da un mio sbilanciamento verso
l’amato. Non è forse questo che si dice nella formula del matrimonio
cristiano?)
Laddove è evidente che affinché una relazione di coppia possa
funzionare ed esprimere il suo “massimo” bisogna essere in due a fare questo
tipo di scelta di “direzione” e di “stile”. Ma il punto rimane che ciascuno
lo può fare solo per se stesso, sperando e fidandosi che anche l’amato
faccia altrettanto, ma quello è un passo che lui e solo lui può fare.
Per la riflessione:
-Qual è il motore principale che muove i miei affetti: la
necessità e il piacere di sentire che i miei bisogni sono accolti e soddisfatti
o, piuttosto, il desiderio di rispondere ai bisogni dell’altro?
-Nella mia esperienza concreta, quali sono le persone che
conosco e che dimostrano di tenere conto particolarmente dei mie bisogni? La
mia risposta al loro amore, di che qualità è?
-Quale penso che sia la maniera per educare i propri affetti,
per modificare progressivamente i propri schemi del “voler bene”?
-Alle persone che amo, sono capace di “chiedere” senza che
questa richiesta si faccia pretesa?
-Nella mia relazione con Dio, quali dei miei bisogni e delle mie
aspettative percepisco che Egli è l’unico in grado di soddisfare pienamente?
Ti auguro un buon cammino verso la strada dell’amore
Katia Botta
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Bibliografia
Il colore del
grano. Crescere nella capacità di amare,di Anna Bissi, ed.Paoline.- Amare è un
cammino di Luciano Cian, ed. Elledici- Meg n. 4 ottobre 2007-La tigre e la neve di Roberto Benigni-
Immagini di Lori Portka