La nostra scelta più importante è il modo in cui decidiamo di vivere la nostra vita. La felicità è amore, nient’altro.

Katia Botta

domenica 22 maggio 2016

Si arriva ad un punto in cui amare significa scegliere


“L’amore è un’esperienza dinamica, un cammino mai concluso”

Amare è rispondere ai bisogni altrui
Il meccanismo che regola l’intersecarsi tra la realtà dell’amore e quella dei bisogni di cui noi tutti siamo espressione sin da quando muoviamo i primi passi nella nostra vita, funziona così: 

MANIFESTAZIONE DEL BISOGNO = DOMANDA DI SODDISFACIMENTO DEL BISOGNO = RISPOSTA DI SODDISFACIMENTO DEL BISOGNO = AMARE 

Questo sembrerebbe condizionare in modo inesorabile il nostro modo di comprendere ciò che amare significa. Infatti, avevamo preso come esempio di questa “situazione di partenza”, che accomuna un po’ tutti, la realtà del bambino nei confronti di sua madre. Per il bambino: 

IO TI AMO = TU MI DAI QUELLO CHE IO STO CERCANDO E RISPONDI A CIÒ DI CUI IO HO BISOGNO 

Ma proviamo ora a considerare questo stesso rapporto da un altro punto di vista: quello della madre. Per una mamma che cosa significa amare il proprio figlio? Per lei guardare il suo bambino e andargli incontro significa prima di tutto accorgersi che lui ha dei bisogni  ai quali lei si sente completamente sollecitata a rispondere. Poco o nulla le interessa che cosa il bambino possa dare a lei. Questi può essere bello, buono e simpatico o tutto il contrario, ma ciò che scatta nel cuore di una mamma è in primo luogo il fatto che lui ha bisogno di lei. Quindi assumendo la prospettiva della mamma possiamo notare come:

AMARE = SODDISFAZIONE DI BISOGNI (questo fatto rimane sempre vero)
IO TI AMO = IO TI DO QUELLO CHE TU STAI CERCANDO E RISPONDO A CIÒ DI CUI TU HAI BISOGNO (è invece a questo livello che cambia qualcosa)

Questa condizione non è più un naturale “punto di partenza” che accomuna tutti quanti, bensì una situazione alla quale si giunge attraverso dei “percorsi di vita” che comportano delle scelte e conducono alla presa d’atto che i bisogni di cui noi siamo soggetti appartengono anche agli altri!  L’esperienza dell’innamoramento prima e quella successiva del consolidamento di una relazione matura di coppia, mettono in gioco proprio la domanda seria del come io possa essere in grado di rispondere ai bisogni di cui l’altro è portatore. Infatti, tipica dell’adulto dovrebbe essere la tematizzazione dal fatto che l’etichetta del bisogno non si appiccica solamente a se stessi, ma anche ad altri – non solamente in generale e a livello teorico, ma a dei “tu concreti”che ci stanno davanti, ci interpellano e che noi amiamo. Se è vero che ogni genitore è stato un tempo bambino, non è affatto scontato che ogni bambino cresca e diventi veramente adulto. Si può anche restare bambini per tutta la vita!  Questa non è una semplice constatazione biografica legata all’evolversi delle età della vita, ma la presa d’atto di una duplice possibilità che chiama in causa due diversi “stili” e modi di essere e di comprendere ciò che significa “amare”. Infatti, si può vivere tutta la vita insediati in due diversi orizzonti di riferimento all’interno dei quali il termine amore e la realtà che esso designa assumono un significato diverso  

Il grande soggetto di questo orizzonte di riferimento è IO e ciò che chiamiamo amore ha fondamentalmente a che vedere con il mio bene

Il grande soggetto di questo orizzonte di riferimento è TU e ciò che chiamiamo amore ha fondamentalmente a che vedere con il tuo bene

AMARE = CHIEDERE, PRENDERE, “SUCCHIARE”  AMARE = RISPONDERE, DARE, “FARSI SUCCHIARE”

Come possiamo vedere, la parola utilizzata – amore – è la stessa, ma le dinamiche significate sono diverse, addirittura ribaltate.
Il “dramma” sta proprio nel fatto che non ci sono due parole diverse per designare le due dinamiche in gioco, ma la parola è una sola: amare.


Stesso termine, diversi significati
Ecco allora che due persone, ad esempio due fidanzati, dicendosi l’un l’altro la stessa frase “io ti amo” possono intendere due cose completamente diverse! Magari il sentimento può essere lo stesso, anche la dolcezza e la tenerezza che si provano ci sono per entrambi, ma diverso rimane l’orizzonte di fondo, lo “stile” messo in gioco. Ciò non toglie il fatto che tutti e due possano essere contenti e stiano davvero bene in un particolare momento, perché effettivamente, “in qualche modo”, tutti e due stanno “amando”, e questo fatto non fa immediatamente emergere la distanza e la diversità che sono in gioco, non ci si accorge di niente e tutto sembra funzionare benissimo.  Per questa ragione di fondo l’amore non può essere ridotto solamente ad un sentimento, ma deve essere individuato come dinamica originaria che deve venire scelta tra le due possibilità in gioco. Pur conoscendo  e sperimentando in noi entrambi i meccanismi che abbiamo cercato di mettere a fuoco, riconoscendoli entrambi presenti in noi e coesistenti nella nostra esperienza di vita – perché ogni mamma è stata prima bambina e se è diventata una brava mamma questo non toglie che essa ha conosciuto e conosce entrambe le dimensioni e non solo una. Si arriva però ad un punto in cui amare significa scegliere: scegliere quale dei due orizzonti – pur conosciuti e vissuti entrambi come esperienze di “bisogno” – vogliamo mettere in atto come “motore” originario delle nostre azioni.  Dicevamo che si tratta certamente di due “motori” che coesistono (e non possono che farlo), e non di un meccanismo cattivo contrapposto ad uno buono. Questo non significa però che bisogna evitare di fare una scelta su quello che ciascuno di noi vuole che sia il motore fondamentale della propria esistenza; anche se ci saranno sempre dei momenti e delle situazioni che seguono l’altra direzione e sarà sempre necessario operare delle sintesi e delle integrazioni. Prendiamo come esempio le figure di alcuni santi  che oggi riconosciamo come significative e spendibile per il nostro mondo: madre Teresa di Calcutta oppure Francesco d’Assisi. Se ci pensiamo un attimo, perché possiamo dire che queste figure ci attraggono e riscuotono, credenti o non credenti che siamo, la nostra ammirazione? Ancor prima del fatto che possano essere persone che pregavano tre ore al giorno – in fondo a noi interessa relativamente poco che essi pregassero o meno per metà della loro giornata – noi siamo colpiti da queste persone perché con la loro vita ci hanno fatto vedere proprio un “tipo di motore” fondamentale che ha alimentato tutta la loro esistenza.  Entrambi hanno fatto della scelta che il bisogno di qualcun altro potesse essere più importante ed urgente di quegli stessi bisogni che riconoscevano presenti in loro, la loro direzione di vita, disponendo ogni altra realtà in funzione di questa scelta. Ed è per questo stesso  motivo che, di fronte a loro, in noi emerge con forza l’esigenza di affermare che loro sono stati dei “santi”, mentre ovviamente e giustamente noi con la santità abbiamo poco a che fare, tracciando in questo modo una certa “distanza di sicurezza” tra noi e loro, perché a noi spaventa una vita giocata sul versante del dare e del rispondere al bisogno altrui come modalità autentica di amore.

Amare è il frutto di una scelta
Dicendo che l’amore è prima di tutto una scelta personale, rimarchiamo il fatto che si tratta non di un qualche cosa che si improvvisa, ma del  frutto di un discernimento, che richiede tempo, “allenamento” e anche una certa “attrezzatura”. Amare ha a che vedere con un modo di mettere in ordine le diverse dimensioni che compongono la nostra vita, significa anche educare i propri affetti, modificare i propri schemi, allargare i propri orizzonti.
 
Questa è una scelta di modo di procedere che non si concorda con l’altro “a tavolino” (se tu fai così, allora io… finché tu, allora anch’io…), ma una decisione che ciascuno può prendere unicamente per se stesso:

IO TI AMO = IO SCELGO DI METTERE TE E I TUOI BISOGNI PRIMA DI ME E DEI MIEI, PER TUTTA LA VITA E IN TUTTE LE VARIE CONDIZIONI ESISTENZIALI IN CUI CI  POTREMMO TROVARE 
(e lo posso dire perché essendo una mia scelta non dipende più dall’altro o dalle incognite della vita, ma da un mio sbilanciamento verso l’amato. Non è forse questo che si dice nella formula del matrimonio cristiano?) 
Laddove è evidente che affinché una relazione di coppia possa funzionare ed esprimere il suo “massimo” bisogna essere in due a fare questo tipo di scelta di “direzione” e di “stile”. Ma il punto rimane che ciascuno lo può fare solo per se stesso, sperando e fidandosi che anche l’amato faccia altrettanto, ma quello è un passo che lui e solo lui può fare.


Per la riflessione:
-Qual è il motore principale che muove i miei affetti: la necessità e il piacere di sentire che i miei bisogni sono accolti e soddisfatti o, piuttosto, il desiderio di rispondere ai bisogni dell’altro?
-Nella mia esperienza concreta, quali sono le persone che conosco e che dimostrano di tenere conto particolarmente dei mie bisogni? La mia risposta al loro amore, di che qualità è?
-Quale penso che sia la maniera per educare i propri affetti, per modificare progressivamente i propri schemi del “voler bene”?
-Alle persone che amo, sono capace di “chiedere” senza che questa richiesta si faccia pretesa?
-Nella mia relazione con Dio, quali dei miei bisogni e delle mie aspettative percepisco che Egli è l’unico in grado di soddisfare pienamente?


Ti auguro un buon cammino verso la strada dell’amore
Katia Botta



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Bibliografia
Il colore del grano. Crescere nella capacità di amare,di Anna Bissi, ed.Paoline.- Amare è un cammino di Luciano Cian, ed. Elledici- Meg n. 4 ottobre 2007-La tigre e la neve di Roberto Benigni- 

Immagini di Lori Portka

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